In alto
Viviamo nel girone infernale dei commentatori, convinti di poter cambiare le cose, di avere voce in questo capitolo di storia.
Invece siamo silenzio, possiamo solo ascoltare.
Malika è musulmana. Parla con voce sommessa, arresa.
Racconta di come l’undici Settembre abbia cambiato lo sguardo delle persone su di lei, sul suo intercedere arabo nel parlare.
Oggi all’associazione arabo uguale Isis, nello sguardo della gente si è sostituito Hamas.
Ma lei, dice barcollando nel suo italiano, non è Isis, non è Hamas, è semplicemente una donna che prega il suo dio come noi preghiamo il nostro, vergognandoci delle crociate, dei libri bruciati, della pedofilia in Vaticano.
Il suo fidanzato ha il passaporto del Quatar ma origini palestinesi.
Nell’ultima settimana ha perso la sua casa nella striscia di Gaza, sotto la casa ha perso lo zio, la zia, i cugini.
Una famiglia spazzata via in un’ onda di violenza.
Lui piange impotente dall’Italia, dove è in attesa che la nave da guerra del suo paese venga riammodernata.
Perché siamo bravissimi a chiedere pace ma siamo più bravi a vendere missili, bombe, navi per le loro flotte.
Siamo bravissimi ad armarli fino ai denti e poi a fare la faccia contrita davanti ai giornalisti fuori da Palazzo Chigi.
Ecco, questa guerra non è solo in una striscia di terra, questa guerra bombarda vite capillari in tutto il mondo, uomini e donne che dall’America alla Francia, dalla Germania all’Italia, perdono fratelli e sorelle e madri e padri.
Noi rivolgiamo lo sguardo verso l’alto chiedendo che tutto finisca.
Un retaggio di ogni religione ci ha insegnato che in alto ci sta dio, in alto volano leggere le preghiere.
Invece in alto, nei piani alti, questa guerra la alimentano come si alimenta un cucciolo affamato.
Dove noi vediamo morte loro vedono distese di denaro.
In alto non è il cielo, ma il punto più caldo dell’inferno.
Irene Renei