Diario
Agosto era il mese del diario.
Iniziavano ad apparire nelle vetrine delle cartolerie nonostante il caldo e la voglia di non pensare alla prima campanella del nuovo anno.
Impossibile resistere.
Dovevi entrare e guardare, avvolta in quel profumo di carta nuova e gomme da cancellare.
Da Linus alla Smemoranda, da Lupo Alberto a Mafalda, guardavo le pagine interne studiando con attenzione le sfumature di colore, gli spazi dedicati ai giorni festivi e alle vacanze di Natale, pagine preziose in cui avrei potuto scrivere testi di canzoni, o semplicemente ” David Bowie” in quel carattere tondeggiante con le ombre che la mia vicina di banco sapeva fare sempre meglio di me.
Il diario non era un oggetto, era uno status.
Era la possibilità di esprimerti in bilico tra le regole imposte e la libertà di pensiero.
Era una versione di greco a pag 125 e una frase di Jim Morrison sulla droga.
Erano dediche delle amiche e biglietti del treno incollati, carte di Big Babol che profumavano di fragola stese tra le pagine come banconote preziose ed esercizi di matematica provati come in un foglio di brutta.
Era la tua vita mischiata tra doveri e identità cercate, che anche se lo aprivi dopo dieci anni tornavi lì, coi piedi ben piantati nella tua vita adolescente.
Mia figlia il diario non lo compra da anni, fagocitata dal registro elettronico, freddo impersonale di cui non le rimarrà niente.
E ogni anno puntuale a settembre io ci provo:” Amore compriamo il diario?”
” Mamma ma a cosa mi serve il diario?!”
E cosa te lo spiego a fare, amore mio?
Che ho cinquant’anni e a fine estate ho la tentazione di comprarlo ancora.
Irene Renei
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