Donne per le donne
Inizio da me.
Mia nonna si rompe il femore.
Mia madre lavora tutto il giorno.
Dalle donne si pretende che riescano a dividere le loro giornata tra lavoro, figli e anche genitori che invecchiano.
Ci vorrebbero giornate di 40 ore.
Cerchiamo una persona che possa aiutarci , accudire, fare un minimo di spesa, soprattutto dormire dai nonni, perché loro di lasciare casa per venire da noi proprio non ne vogliono sapere.
Siamo nei primi anni novanta.
Nella nostra città inizia ad esserci una nutrita comunità di donne dominicane.
La fortuna ci ha riservato la migliore, Doulce: un angelo del quale non avremmo più fatto a meno per vent’anni.
Sapevamo di affidarle tanto.
Accudire gli anziani è faticoso, spesso stringe lo stomaco e fa venire conati di vomito.
Ci vuole pazienza, ci vuole presenza, poca libertà.
Tu vivi con loro, diventano la tua famiglia, dividi con loro il bagno, prepari il pranzo e la cena.
Aspetti il giovedì per poterti chiudere la porta alle spalle e respirare un pomeriggio tutto per te.
Sono passati trent’anni.
Nessuna politica sociale ha cambiato la realtà.
Abbiamo sempre più bisogno di queste donne che dedicano la loro vita a curare i nostri cari.
Mi chiedo se ci siamo mai soffermati a pensare quanto siamo stritolati in meccanismi che non ci permettono quasi mai di avere tempo per accudire chi ci ha dato la vita e la vita ci ha dedicato.
No, noi siamo costrette a delegare.
Questa mattina chiamo al telefono G, la mia stupenda mamma in affido e lei non riesce a parlare dalle urla della signora che cura da un anno a questa parte.
Mille volte grida il sui nome, mille altre la rimprovera per nulla.
Chiama la figlia al telefono per lamentarsi di tutto, nonostante la premura continua di G.
La figlia ben sa, asseconda i capricci della madre, la saluta.
Due minuti e torna al suo lavoro. Non può fare altro.
Mi domando se sia il caso di fermarsi a pensare e ringraziare queste generazioni di donne che da tanti paesi arrivano qui colmando vuoti che la nostra società ha raschiato senza darci possibilità di ricostruire.
Dire a loro grazie perché chi ha titoli professionali ha altre ambizioni e chi non li ha si impegna a farseli sul campo mettendo cura e fatica per l’igiene personale, facendo punture intramuscolari, insulina, dosando giornalmente farmaci, controllando la pressione, assumendosi grandi rischi e grandi responsabilità.
E se è vero che i media ci restituiscono spesso scene strazianti di anziani vessati in strutture dove dovrebbero essere curati è altrettanto vero che le nostre giornate possono trovare incastro tra un impegno e l’altro grazie alla dedizione di donne che tengono la propria famiglia in una casa e il cuscino per dormire in un altra, dai nostri fragili genitori, dai nostri nonni, diventando un punto di riferimento indispensabile per noi e per loro.
In attesa di una soluzione ad un problema sociale che nessuno vuole vedere, sarebbe il caso di fermarsi ogni tanto a pensare che un grazie in più, quando compiliamo il cedolino di pagamento a fine mese (ammesso che lo si faccia), un grazie fatto di stima e riconoscimento, a queste donne infermiere e soldato gli dovrebbe arrivare diretto negli occhi e dritto nel cuore.
Irene Renei
www.donnechepensano.it