La giustizia è donna
L’aula al quarto piano ha l’impianto audio che non funziona da ieri.
È l’unica atta ad ospitare la Corte d’Assise.
Davanti alla porta un foglio di quaderno attaccato con lo scotch con scritto l’invito a recarci al piano di sotto, in Aula 8.
Ci guardiamo perplessi.
L’Aula è piccola,noi siamo in tanti.
Le norme Covid obbligano ad un protocollo difficile.
Scendiamo e ci riuniamo nell’anticamera della giuria,buttando un occhio dentro l’aula ancora vuota ,solo il movimento veloce delle due tirocinanti che aiutano la verbalizzatrice ad inventarsi la disposizione dei posti.
Arrivano gli avvocati, l’ingombrante carrello della documentazione cartacea, la parte civile, i carabinieri, l’imputato scortato dalla polizia.
Ci sono tutti, possiamo entrare.
Iniziamo ad occupare le sedie, distanziate a norma dietro al bancone del giudice, troppo piccolo per accogliere tutti, sfilo stretta dietro la poltrona del Presidente della Corte e non trovo posto,considerato che le prime panche sono riservate alle parti .
Guardo la verbalizzante sgomenta…mi affianca, camminiamo verso il fondo dell’aula .
In ultima fila il bancone sembra libero.
Mi siedo lì, assieme all’altro giudice popolare “sine posto”
Ci guardiamo sorridendo,siamo all’ultimo banco ci diciamo, possiamo anche distrarci.
Un sorriso.
Sappiamo bene che non è così.
Si decide per un ergastolo,
Una persone è morta, un’altra ha sparato.
C’è poco da scherzare e la tensione in realtà non passa mai, neanche dopo mesi di processo.
Siamo semplici cittadini chiamati a giudicare, ad ascoltare consulenti,testimoni, figli ,madri costretti a dire ciò che uno e l’altro mai dovrebbero sentire.
C’è un imputato, piantonato da due uomini della polizia penitenziaria, che si gioca la vita tra un’acquisizione di prova e un opposizione.
Ci sei tu,che devi rimanere obiettivo,nonostante il suo sguardo sia arrogante,supponente e non si abbassi mai quando incontra i tuoi occhi.
Le finestre spalancate per il ricircolo d’aria ti fanno entrare il freddo nelle ossa.
Persone mandate fuori, pubblico assente.
Massimo venticinque presenze o le norme Covid non ci concedono di procedere.
Il Presidente apre la seduta.
Tu ringrazi di aver studiato legge,di non sentirti proprio un pesce fuor d’acqua,
Capisci dopo anni con una chiarezza rara perché hai deciso di non arrivare fino in fondo.
Non ce l’avresti fatta, troppa pancia nei tuoi pensieri,tu potevi solo scrivere,non giudicare, non difendere, non accusare.
Eppure, per la prima volta, vedo la composizione di questa Corte d’Assise da dietro.
Come un quadro a rovescio, le spalle di tutti.
E mi trovo a sorridere ,orgogliosa per quello che vedo per la prima volta da una nuova angolazione, con un pizzico di superbia e soddisfazione, senza poter vedere gli sguardi e concentrandomi sull’essenza.
E questo è quello che vedo.
Giudice Presidente della Corte,una donna che ha superato da poco i cinquant’anni.
Giudice a latere, una donna di qualche anno più giovane.
Pubblico Ministero, una giovanissima donna ,ferma e delicata allo stesso tempo.
Avvocato della difesa, una donna sui trentacinque, agguerrita e sicura di sé
Avvocato della parte civile, una donna, anch’essa lontana dai quaranta.
Si muovono sicure, consapevoli della responsabilità che hanno, ognuna a suo modo sulle spalle.
Le guardo e sorrido.
I Greci credevano nella giustizia al femminile
Figlia di Zeus e di Temi, Dike era la potenza divina della giustizia, vergine per Platone che vedeva in questo stato una condizione di incorruttibilità.
In quest’aula io vedo Dike oggi,di spalle,che lavora muovendosi piano tra i fogli, i codici, i commi, le acquisizioni di prove.
Qui dentro la giustizia è donna,e scusate se è poco, io ne vado fiera