Riccioli neri
Sabato mattina.
Rumori strani.
Nel regno della mia cameretta, io principessa dei miei 20 anni, mi giro e mi rigiro nelle coperte rifiutandomi di fare spazio al giorno.
Nemmeno mio padre osa entrare con la solita colazione sul vassoio: brioches calda, capuccino e giornale. Strano, abitualmente, all’alba delle 10 socchiude la porta, butta dentro sguardo e amore nel tentativo di svegliarmi con la sola presenza e se fallisce mi schiocca un bacio sulla guancia e mi porge il vassoio. “Buongiorno Pilu”…
Questa mattina la porta non si apre.
Sento la voce di mia madre che sussurra, forse per non svegliarmi. Parla sicuramente con Arianna ,la signora che da un po’ di tempo viene ad aiutarla a fare le faccende di casa. Sento altre voci, ma non le distinguo. un tossire lieve ,secco e continuo. Troppe voci per un sabato mattina qualunque.
Decido a fatica di alzarmi da letto. Evito la porta della stanza che dà sul salone, passo dall’altra, pensando di evitare voci e presenze. Passo in corridoio e butto un’occhiata veloce in cucina. Li c è Arianna che stira. “Buongiorno”, ricambio il buongiorno. .Cerco mia madre, non la vedo, seguo le voci ,seguo la tosse, entro in camera sua.
Lei è seduta sul letto e in braccio a lei un capolavoro;una bambola di forse tre anni, forse quattro, con due occhi neri come il cielo senza stelle ma brillanti come se di stelle, lì dentro, ce ne fossero a milioni. Quegli occhi mi guardano, facendosi largo tra boccoli scuri che arrivano fino alle spalle. Guarda e non guarda. Cerca ma diffida. Io sorrido, cerco in un espressione di mia madre un appiglio, una spiegazione. “E’ la figlia di un’amica di Arianna. Nella casa in cui sua madre lavora non vogliono bambini e dall’istituto il sabato chi ha la mamma deve venire via.”
E senza che io possa dire una parola,perché ho già intuito che c è molto altro da sapere (me lo dice il modo in cui la tiene tra le braccia)mia madre aggiunge “Questa tosse non mi piace. Ho chiamato un pediatra”
Arriva il pediatra e arrivano le medicine e arriva la telefonata alla sua mamma per dirle che la bimba ha la febbre, che va curata. E arriva quello che mia madre covava da ore senza riuscire a trattenersi. “Può rimanere qui, finché non sta meglio. Poi vediamo..”
Poi vediamo, mamma. Vediamo se quel poi sarai disposta a farlo arrivare.
E la casa per magia, profuma di nuovo di bambini, si riempie di pennarelli e fogli bianchi, di fili colorati e aghi per il punto croce. Si riempie il bagno di saponi delicati e shampoo che non brucia gli occhi. Si riempie la cucina di bicchieri di plastica dura con paperini e paperine.
Si riempie il cuore di mia madre che con tre figli grandi può tornare a prendersi cura di un cucciolo. Si riempie anche il mio di cuore di fronte a quella bimba di una bellezza rara e di un’intelligenza ancora più difficile da credere. Parla sempre meno spagnolo e sempre più italiano .E man a mano con l’aumentare del nuovo vocabolario, aumentano e prendono campo le abitudini, aumentano e ci fanno sorridere i suoi capricci.
Guai a far mancare i suoi biscotti tondi al cioccolato per colazione e guai a non metterle il tavolo a disposizione dopo cena per disegnare con i suoi pastelli.
Guai a dirle che non dormirà in mezzo nel lettone con mia madre e mio padre. Pianti, lacrime, dolori alle ginocchia che ci spiegherà il dottore essere solo richieste d’amore. Un ‘amore grande che lei aveva, in una madre che ha avuto la forza di regalare un pezzettino di lei ad estranei pur di farla stare un po’ meglio.
E arrivano i compleanni, la scelta di un vestito importante, di raso bordeaux, con il colletto in piquet bianco. Lo ha scelto lei, il più bello della boutique. E arrivano i giochi, il parco, la giostra.
Arriva l’abitudine a lei, dritta dentro al cuore:parte di noi ma non nostra.
E quando tutto scivola nella normalità di una famiglia inaspettata ,arriva il “Lei deve andare. Torna al suo paese di origine”
Ecco, più volte mi sono chiesta se tutto quello che è arrivato nei mesi dopo sia valso tutto quello che è stato negli anni prima.
Oggi dico si e lo dico urlando. Si e ancora si. Sono valse le lacrime di mia madre ogni volta che apriva uno sportello ed usciva un segno della sua non presenza in casa: un disegno, una bambola,il letto di nuovo troppo largo, i vestitini puliti, stirati, inutili.
Tutto è servito a capire ,come nessun vocabolario può spiegare, il significato del verbo donare. Si dona per amore ,sapendo di non doversi aspettare niente, perché niente ci spetta. Tanto meno una persona. Nulla è nostro di diritto ma possiamo fare in modo di cambiare la strada di qualcuno segnandola in positivo.
Credo ,ad oggi ,che l’affido sia la più alta forma di genitorialità. Senza aspettative se non il bene che puoi tentare di fare in un frammento di strada in comune con una creatura che ti darà sempre e molto di più di quanto tu potrai dare.
Un bambino in affido unisce la famiglia, crea figli consapevoli e genitori capaci di crescere ancora e ancora assieme ai loro figli.
Lei è tornata. È una splendida donna, dentro e fuori. I soliti occhi brillanti, i soliti boccoli da principessa. Si ricorda di noi. Chiama la mamma e la va a trovare quando può assieme alla sua di mamma.
Lei in realtà non se n’è mai andata.