La mia vita prima del covid
La mia vita prima del Covid…
Vivo tra cartine sparse e briciole di tabacco sul tavolo di sala, sulla testiera del letto, svolazzanti per terra. Vivo tra reggiseni fluo buttati sulle sedia e short invisibili sulla scrivania, tra cover di cellulari dimenticate e libri sparsi ovunque. Vivo col cellulare in mano, in attesa di un messaggio, uno sguardo all’ultimo accesso, gli orari dell’autobus in testa. Vivo e ad ogni sirena sussulto, trattengo il respiro, cerco di resistere, poi chiamo.
Vivo tra amici vecchi e nuovi, bambini a cui è spuntata la barba, ragazze con più seno di me. Arrivano all’una di notte “Mami ha perso l’autobus può restare?” “Avanti mio caro, c’è posto per tutti” Vivo tra colazioni da Hotel in otto intorno al tavolo, affamati come lupi,serviti come dei lord, brioches calde e caffè dalla Moka. Vivo tra mille lingue, tra mille colori : olivastro, cioccolato al latte e fondente, bianco sbiadito dall’Albania. Ognuno mi porta la sua lingua e io mi aggiro persa tra un saluto in spagnolo uno in arabo, uno in polacco. “mami ti ha detto grazie!” ” Uh prego tesoro, non avevo capito. Vivo fra tradizioni diverse, aperitivi con vassoi che nessuno tocca : il prosciutto non va bene, i wusterl nemmeno, maledetto maiale che sei dappertutto, devo ricordarmi le patatine, quelle pregano ogni religione.
Vivo in una montagna russa quotidiana, tra urli che Munch a confronto ha dipinto la quiete. Si urlano perché lei ha messo la maglia di lui, perché lui ha preso i due euro che lei ha appoggiato all’ingresso, perché il tablet” l’hai scaricato e non l’hai rimesso in carica! “
Benvenuti al luna Park signori, primo giro della morte. Lei urla perché lui sta troppo in bagno e lui risponde (urlando) di andare in quello di sotto, ma no, quello di sotto non piace a nessuno, bagno reietto, non si capisce il perché.
Secondo giro della morte, lui prenota un tatuaggio il giorno prima dell’esame di riparazione. Urlo io stavolta, lui si arrabbia, vorrebbe urlare ma non lo fa. Però esce e ci va. Lui è maggiorenne, lui ha i suoi soldi. Mio marito gli strappera’ il braccio.
Vivo su un calcinculo, ognuno dà calci a quello davanti, ma giriamo sempre in tondo e ogni calcio muove in avanti ma poi si torna indietro e siamo sempre vicini, legati ai seggiolini e senza calci sarebbe tutto fermo, tutto noioso.
La musica ci dà il ritmo, da Salmo a Capoplaza, da Sferaebbasta a Gue Pequeno. A loro dà la carica per vivere, a me una carica di nervoso, ma poi la canticchio per la casa, senza rendermene conto.
Vivo costretta a comportarmi da adulta, per dare l’esempio, perché devo farlo. Grido, mi arrabbio e dentro perdono, già mentre urlo. Perché quell’età in cui sei tutto e niente, in cui vuoi spaccare e il mondo spacca te io me la ricordo bene. Vivo aspettando un bacio, aspettando di aprire la porta e vedere lei, i capelli raccolti, il fiatone per le scale, la sua bellezza pura che si si porta dietro senza consapevolezza . Vivo aspettando di poter spegnere l’ultima luce, di sentire silenzio. Una carezza sulla schiena a lei (perché quando baci mi sbavi Ma!) un bacio a lui tra il collo e il viso, il cane che mi segue fino a letto e mio marito che mi aspetta. Tiro su il lenzuolo e ringrazio Dio, il destino, il mondo, di avermi fatto donna, di avermi reso madre.