Normalità
Quante cose consideri normali nella tua normale vita. Metti in tavola pollo arrosto e crocchette di patate, piatto dai due vantaggi: lo compri pronto e piace da sempre ai tuoi figli. Anche se sono grandi, pollo arrosto e crocchette mette allegria.Oggi poi, che a tavola con noi ci sono loro per la prima volta ,sei e nove anni ,allegria per tutti. Ma uno alla tua domanda ” che parte vuoi amore?”, ti sgrana gli occhi e non risponde. Lui sveglio, lui intuitivo (e lo sai perché lo seguivi nei compiti in comunità). Lui sgrana gli occhi e ti dice “Non mi piace” E il piccolo invece mastica e mastica e mastica e non ingoia mai. Perché nella tua vita normale il pollo è allegria ma nella loro, ti dice la mamma al telefono, non sono abituati a mangiare spesso carne. E non sono abituati a stare sdraiati su un divano con la copertina di pile, ognuno la sua a scegliere il cartone su Disney Plus.Ti chiedono al massimo dei video di cartoni su Youtube. Allora tu scegli un cartone a caso, di quelli classici, prendi il tuo braccio, lo alzi e ti avvicini la testa di uno dei due, te lo accoccoli vicino al calduccio, per farlo rilassare in questa fredda giornata che dobbiamo passare in casa. E l’altro, più distante e distratto, si sdraia sul fratello e ti prende la mano – “Così tocchi anche me.” E non è normale niente, la merenda che più tardi facciamo ,i pan di stelle che scelgono con cura e gioia, la stella, la casa, l’omino … E quando arriva sera e li metti in auto per riportarli alla mamma, ancora in comunità, si addormentano sfiniti della tua vita normale,che normale non è. Li tiro giù con gli occhi ancora chiusi, lo zaino, i cappelli, li bacio, abbraccio la loro mamma e vanno dentro camminando a zig zag, impastati di sonno alle sei di sera. Perché di normale, in una casa tua ,in una borsa dell’acqua calda sulle gambe, in un cane che si sdraia col muso su di te, non c’è niente se la tua casa non esiste, se tuo padre non esiste, se tua madre fa i miracoli ma i miracoli non bastano. Mi abbraccia la mamma e mi dice sussurrando nelle orecchie: ” Ma quand’è il mio turno di stare con te?” Ridiamo, “Speriamo presto, un giorno che loro sono a scuola!” Chiudo la portiera dell’auto e guardo mio marito. Ma che abbiamo fatto oggi noi? Abbiamo dato tutto per scontato, abbiamo dato forse troppo con superficialità, senza la delicatezza di chi pulisce una ferita fresca.La puoi guarire si, ma ci vuole tempo, pazienza e leggerezza nel tocco. Chiedere permesso prima di entrare, maneggiare con cura vite infrante, dosare a gocce impeti d’amore e pezzi di cioccolato, che troppi sì tutti assieme fanno venire mal di pancia. Imparare la misura dell’accudire. E anche oggi sono stati loro ad insegnare a noi. E non imparo mai.Testo di Irene Renei