Piovono bombe
Lui indossa i suoi stivali per la pioggia e si guarda i piedi, dall’alto del suo metro e poco più.
Sono gialli con la suola blu, di una gomma tanto luccicante che viene voglia di mangiarla.
Mesi a piedi nudi, sabbiolina tra le dita e gocce di mare tra i riccioli neri.
Ora finalmente la pioggia, l’ombrellino degli Avengers e la voglia di camminare tra le gocce, che spumeggia nel cuore come una coca cola scossa per sbaglio.
C’è stato un tempo in cui non aveva gli stivali, non aveva un ombrello, non aveva un divano per sdraiarsi a guardare gli Avengers. Non aveva nemmeno la televisione per guardarli. Aveva una stanza comune ad altri bambini, educatori a dargli il buongiorno e il latte caldo, e il primo paio di scarpe che trovava nella stanza scarpe, negli sportelli con la farfalla rossa, quello con il suo numero.
Oggi esce, la sua mamma in affido apre la porta di casa ed il suo grande ombrello. Lo copre senza farsi vedere, dall’alto, mentre lui è convinto di fare tutto da solo, di ripararsi dalla pioggia, “che poi se mi bagno che importa, è solo pioggia e io ho i miei stivali!”
Lui si è salvato.
Buoni i tempi in cui è sufficiente a una madre un ombrello per riparare la vita del figlio.
Buoni i tempi in cui si corre tra le gocce.
Ci sono terre in cui piovono bombe.
Piovono bombe sui bambini di Jahve’ e sui bambini di Maometto.
Piovono bombe che fanno male fino al sangue, male fino alla morte.
E noi saltiamo tra le pozzanghere, felici della prima pioggia.
Per un figlio che si è salvato centinaia di figli moriranno.
E noi saltiamo tra le pozzanghere felici della prima pioggia.
Irene Renei
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