Pane e ansia
Ansia è quella parola che quando diventi genitore ti cuciono sulla pelle con contratto a tempo indeterminato.
L’unico da cui nessuno riuscirà mai a licenziarti.
Iniziano le ansie con la bilancia pre e post poppata, con le teorie dell’allattamento a orario o a richiesta, del latte che non è nutriente, del pianto ininterrotto che ti vede impotente e continua e cresce con i tuoi figli.
Si vive e si festeggiano anni che crescono insieme ad ansie che cambiano.
Ansia per il primo giorno d’asilo, per i pianti e le braccia intorno al collo che devi staccare per scappare al lavoro e ansie per correre a riprenderli in orario, ansia per trovare il parcheggio vicino alla scuola che la campanella è già suonata, ansia perché con le placche servirà la sospensione antibiotica e loro la vomiteranno come l’esorcista.
Piccoli figli crescono e piccole ansie aumentano.
Perché arrivano gli scooter e l’esame di maturità, la patente b e la prima auto e la discoteca sulla spiaggia e i rientri alle cinque di mattina sotto la pioggia con la strada bagnata.
Arrivano le notti insonni, gli ultimi accessi di whatsapp per vedere se sono vivi, la spunta blu che,maledizione,chissà perché la tolgono o forse hanno ragione loro, ipercontrollati, geolocalizzari per amore.
E poi arriva la chiave che gira nella serratura della porta e un sospiro di sollievo tra il buio delle lenzuola, tutti i grazie del mondo alla vita, che li ha fatti tornare a casa e noi ora possiamo addormentarci in pace.
In una ruota che gira dai figli ai nipoti l’etichetta ansia non si scuce mai da dosso, neanche dopo mille lavaggi.
Indiscussa qualità della sartoria di chi ha figli.
La parola spensieratezza non la trovi più neanche sul vocabolario.
Ma la parola amore, quella, la puoi declinare in tutte le lingue del mondo.
Magia dei sentimenti di chi diventa genitore.
Irene Renei