Fiducia
Mia figlia frequenta cattivi ragazzi.
Quelli che hanno il permesso di soggiorno, la pelle color gianduiotto e tengono spesso la musica alta nelle casse.
Quei cattivi ragazzi che è meglio evitare perché chissà che famiglie hanno che girano coi fratellini per mano alle cinque di pomeriggio in mezzo alla strada.
Quei cattivi ragazzi che ” Ma con chi esce tua figlia?Che pure viene da una famiglia per bene.”
Gli stessi che io faccio entrare in casa a frotte, che sfamo e faccio accalcare in sette sul divano.
Gli stessi che una settima dopo ne conosco uno e quattro sono facce nuove .
Gli stessi che mi fanno le videochiamate perché è tanto che non passano e mi vogliono salutare.
Ecco.
Stasera mia figlia, pacchetti della spesa e zaino con la tuta da ginnastica, dimentica la borsa alla fermata dell’autobus e sale affannata per il ritardo già accumulato.
Mi chiama, piange, torna indietro.
Io parto da casa alla velocità della luce.
Chiamo mio marito.
Arriva anche il primogenito.
Voliamo tutti là come i fantastici quattro già sconfitti in partenza.
La borsa non c’è e non c’è il tablet né i libri di scuola, né il portafogli dove oggi la piccola fiammiferaia aveva cento euro appena regalati dalla nonna per il compleanno imminente.
Lei abbraccia mio marito e piange.
Io scuoto la testa.
Mi fa male che sbatta la faccia su questo brutto mondo di cui lei si fida e ogni tanto anch’io.
Niente da fare amore.
Ce ne faremo una ragione.
Ma suona il telefono.
La borsa è stata consegnata ad un bar dove Marta passa spesso con le amiche.
L’ha portata un ragazzo, un nuovo amico di Marta che l’ha vista seduta alla fermata e poi ha visto una borsa da ragazza con un tablet che faceva capolino.
“Vuoi vedere che è sua?”
Apre il portafoglio e si, è proprio lei.
E così con un lungo sospiro di sollievo riprendiamo la borsa, i cento euro, il colorito sulle guance e tanta fiducia nel mondo in cui io e lei crediamo.
Che quei cattivi ragazzi li credete cattivi voi.
A noi sembrano solo degli angeli caduti qui da Santo Domingo.
Irene Renei