Mani legate
Amra è un numero.
Un numero fra i tanti del carcere di Rebibbia.
Poco importa la sua pancia che cresce un figlio da qualche mese.
Poco importa che il primo giorno di agosto chieda la revoca della misura cautelare.
Poco importa che il nove la solleciti.
Poco importa che il diciotto venga ricoverata per accertamenti urgenti ( si dirà una minaccia d’aborto).
La sera stessa rientra in struttura.
Lei è un numero.
La bambina che ha in grembo neanche quello.
Del resto è Agosto, fa caldo e la burocrazia è in alto mare, più di sempre e forse in senso per niente figurato.
Amra partorisce da sola in una cella.
Con il solo aiuto di una detenuta incinta pure lei.
Il medico, scrive nella relazione il responsabile del penitenziario si era allontanato per chiedere l’intervento di un’ambulanza.
Incredibile.
Un parto davvero veloce.
Del travaglio nessuna traccia.
Ma del resto ragioniamo.
Amra è una ragazza rom, ha altri tre figli, è dentro per furto.
Ha forse diritti?
Ha diritti in un mondo che le donne non le vede nemmeno fuori dalle carceri?
No, non ne ha e non ne ha sua figlia, colpevole, già colpevole di venire al mondo da quella pancia.
Fa male però sapere che misure diverse e pesi diversi portano fuori dal carcere uomini colpevoli di ben altri crimini.
Ce li ritroviamo ai domiciliari per un raffreddore o in permesso premio per buona condotta.
Ma Amra è rom e donna.
E di quella donna di serie C le istituzioni se ne fregano.
Certo, ora sono tutti indignati .
Il Ministero della giustizia invia ispettori nel carcere, il direttore ci tiene a ribadire che non è imputabile a loro nessun errore.
Insomma tutti a fare il broncio a braccia conserte.
Perché siamo il paese del dopo.
Del dopo il G8
Del dopo Stefano Cucchi
Dopo i diritti calpestati cerchiamo i colpevoli .
Quando non riusciamo a nasconderli più.
E io penso al mio parto.
Alle gambe che mi tremavano dalla paura e dal dolore, alle mani che tenevo strette in cerca di aiuto, in preda al panico in un ospedale, con un ostetrica davanti e un marito che mi asciugava la fronte.
Poi penso a lei
Sola nel dolore.
E lo stomaco mi fa male.
Io non lo voglio uno Stato capace di far nascere in carcere una nuova vita.
Capace di mancare nella tutela dei diritti primari dei suoi cittadini, anche e soprattutto degli ultimi.
La sentenza di Amra era già scritta prima, molto prima del suo parto dietro le sbarre.
È rom.
È donna.
È femmina la figlia che ha dato alla luce.
Almeno adesso tiratele fuori.
Che uno Stato degno di questa S maiuscola non dovrebbe avere bambini dietro le sbarre.
Irene Renei
A tutte le madri detenute con i loro bambini.