I miei 11 Settembre
I miei 11 Settembre.
Chiusa in banca a lavorare .
11 Settembre del 2001. Il primo.
Il tempo e le notizie camminano a passo d’uomo.
Facebook è ancora in bocca alla cicogna insieme a tutti i social che ora collegano il Polo Nord al Polo sud in un secondo.
La telefonata di mia madre.
Poche parole incredule mentre tiene in braccio mio figlio, ignaro nei sui quattordici mesi dell’orrore che ci assale.
Ma la vera percezione di quel disastro me la restituisce il silenzio.
Nessun telefono che suona, nessun cliente.
Una calma irreale.
Tolgo la sicura ed apro la porta principale.
Cerco il mondo.
Il mondo non c’è.
Il traffico è sparito, le strade rimbombano di vuoto.
È come un’enorme bocca spalancata che cerca di ingoiare il dolore.
Tutto è fermo e io sono prigioniera lì dentro.
Apro Google, leggo le prime scarne notizie, guardo i primi video.
Ho la sensazione che quello che sto vivendo sia un coltello che ha tagliato un prima e un dopo.
Il mio secondo 11 settembre è stato Bergamo, le bare sui camion militari.
Per le strade della mia città un silenzio irreale, io chiusa in casa.
Tutto il mondo chiuso in casa
Sento la stessa sensazione di coltello che taglia un prima e un dopo.
Ora mio figlio ha vent’anni.
Condivido con lui quella bocca spalancata per ingoiare il dolore.
Provo a spiegargli che l’ho già provata una sensazione cosi, quando lui era piccolo, in braccio alla nonna e io avrei voluto correre a prenderlo e stringerlo e proteggerlo come se le torri stessero crollando a dieci metri da casa mia.
Ieri i talebani comunicano che il loro insediamento ufficiale avverrà oggi, 11 Settembre 2021.
E penso che in Afghanistan il tempo si è fermato.
Il coltello non ha tagliato un prima e un dopo.
Il coltello è affondato nella carne degli uomini e delle donne afghane e li ha conficcati in un girone infernale.
E non sono serviti gli americani
E non è servita la Nato
E non è servita la musica, l’università, la cultura.
Quel coltello li tiene schiacciati lì, paralizzati in un buco nero temporale di dolore.
Ma nel mondo non c’è silenzio e la bocca non si spalanca ad ingoiare il loro dolore.
Tanto è loro ed è lontano.
Sarà.
Ma io, fra un bambino morto americano e un bambino morto afghano non ci vedo tutta questa differenza.
Irene Renei