Cosa insegnano ai giornalisti sull’amore
Cosa insegnano ai giornalisti sull’amore.
Una domanda che da troppo tempo mi ronza in testa.
Con quale vocabolario sono andati a scuola, con quali libri si sono laureati questi uomini che fanno delle parole il loro lavoro e invece di pesarle e invece che pensarle, le buttano lì: un soggetto, un verbo e un aggettivo, come si butta la spazzatura nell’indifferenziata.
Esco da un aula di tribunale dopo un anno di processo, esco come giudice popolare che ha contribuito ad un ergastolo, pena massima del nostro ordinamento.
“Uccide l’ex marito della donna che amava per paura di una riconciliazione “.
Questo oggi leggo sulla carta stampata.
Della donna che amava?
Della donna che non è stata più libera di scegliere.
Della donna che ha dovuto buttare la propria vita sul banco degli imputati come un vestito sporco di cui vergognarsi.
Della donna che ha visto cadere il padre dei suoi figli sotto lo sguardo impietrito suo e dei suoi ragazzi.
Questo è amare?
E io capisco e giustifico se chiami antipiretico un antifiammatorio tu, che non hai laurea in medicina ma se lo facesse un medico che errore sarebbe?
Come può allora un giornalista, in un caso come questo, parlare d’amore?
Perché è qui la chiave di volta.
Finché si sdogana l’amore che uccide, in un mondo che vede tre donne morte a settimana per mano di ex fidanzati ,ex mariti, ex qualcosa, non cambierà nulla.
Qui è stato ucciso un uomo ed è stata punita una donna è stata uccisa la sua dignità, il suo rapporto coi figli, la sua libertà, i suoi pensieri privati.
È stata uccisa una madre che porterà il peso della colpa per ogni suo giorno.
Allora parlate dei fatti con le parole adatte, cucitele sugli avvenimenti con la perfezione che la nostra lingua ha, con il senso del dovere che dovreste avere, che non è solo dovere di cronaca, è dovere di una cronaca corretta.
Perché l’amore è altro.
L’ amore è rispetto e condivisione.
L’amore è saper lasciare andare.
L’amore è il più altruista dei sentimenti, è la felicità nel sorriso dell’altro, è arrendersi se non si è abbastanza, è la capacità di perdonare, è continuare ad essere un buon genitore anche con un macigno nel cuore, sta nell’ amare il figlio della compagna o del compagno di un sentimento che passa per osmosi da lei/lui a loro.
Tutto il resto è egoismo, senso del possesso, narcisismo, follia.
E questo va detto, va scritto, perché se non iniziamo a metterlo nero su bianco si distorce la più chiara delle realtà e si passa un messaggio che in nome dell’amore tutto concede, tutto perdona.
Chiedetelo a quella donna se pensa che sia amore quello che ha ucciso suo marito.
Chiedetelo se si sentiva amata da quell’uomo ora in carcere che già aveva lasciato e del quale aveva paura.
Chiedetevelo voi, giornalisti uomini, che state tre giorni a disquisire sui contratti dei giocatori del Milan, cercando sfumature e ipotesi per paura che vi sfugga qualcosa e poi buttate giù un po’ di inchiostro a caso quando si tratta di parlare d’amore .
Quando si tratta di capire dove inizia il “non amore”.
Oppure fate così.
Fateli scrivere alle donne questi articoli.
Alle madri a cui hanno ucciso le figlie, alle orfane cresciute dai nonni e con il padre in galera.
Fatevelo dire da loro se era amore quello che ha portato ad uccidere o se siete voi che state usando male, molto male una lingua che dovreste maneggiare con cura, attenzione, con il massimo rispetto per il vostro lavoro e per ogni persona che vi legge.
Perché nel vostro caso l’educazione passa anche dalle parole.