Lo scudo
Due anni ci ho messo.
Due anni a studiarci uno con l’altro.
Io quarantasei anni, lui solo la prima cifra dei miei: quattro.
Mi veniva intorno, mi provocava, a volte giocavamo a rincorrerci ma quella barriera invisibile non cadeva mai ed io la sentivo: spessa, invisibile ed impenetrabile.
Quando è uscito con la sua mamma dalla comunità sono diventata la sua mamma affidataria, sostituta per i tempi lunghi in cui sua madre è al lavoro.
Lo sono diventata sulla carta.
Non per lui.
Per quanto mi sforzassi lui rimaneva sempre un passo indietro.
All’uscita da scuola mi aspettava col suo zaino sulle spalle, mi veniva incontro piano piano, come a dirmi ” Lo so, non ho altra soluzione che venire con te. Mi piego ma non mi spezzo”.
E poi sono seguiti pomeriggi di pioggia sul divano con merende di cioccolata calda e cartoni animati.
Sono seguiti pranzi in cui non azzeccavo un piatto che gli piacesse.
Sono seguiti giochi dei mimi, pasta di sale, biglietti per la giostra.
Piano piano mi dicevo, ma mancava sempre qualcosa e quel piano era una sensazione di un mondo immobile.
Un pomeriggio avvolti dalle coperte sul divano alzo la mano nell’atto di dargli un cinque, come fanno i ragazzi fra loro.
Aveva indovinato il nome di un personaggio, era stato bravo.
Alla mia mano alzata lui si tira indietro come un riccio, vedo il terrore nei suoi occhi.
Un pugno mi tira indietro lo stomaco e io abbasso la mano.
” Amore mio- dico- come puoi pensare che io ti voglia fare del male! Scusami, ti prego.Scusami”
Il suo silenzio è un enciclopedia di sofferenze buttata lì aperta davanti ai miei occhi.
Penso che no, ha ragione a non fidarsi.
Lui non può fidarsi.
E piantiamo fiori in giardino riempiendoci di terra e fango e facciamo gite in barca coperti come sciatori.
Finché una bimba della sua classe risulta positiva al Coronavirus e lui finisce in quarantena.
“Non puoi venire- mi dice la sua mamma- è una responsabilità troppo grossa. Aspettiamo questi quattordici giorni e vediamo “
I giorni passano lenti e vuoti.
Meno tre meno due meno uno.
Domani vado.
Arrivo davanti alla scuola.
Lui piccolo, sovrastato dal suo grande zaino aspetta e guarda.
Io sorrido e faccio ciao con la mano mentre mi avvicino.
Lui corre, mi si butta sulle gambe e stringe.
Io mi abbasso verso il suo viso.
Lo bacio in quelle guance morbide e nel collo e di nuovo sulle guance.
Lui ricambia ,un po’ qui un po’ li, dove capita.
Gli prendo la cartella e me la metto sulle spalle.
Lui mi guarda, improvvisamente uomo e mi dice” Guarda come sei carica! Dammi qui.”
Si riprende la cartella e prende la mia giacca che avevo appoggiata sul braccio.
” Ci appoggiamo sul muretto a fare merenda?”
Dico come se ci fossimo visti il giorno prima, mentre la testa girava per tutti quei baci arrivati così all’improvviso per la prima volta.
” Irene – risponde lui – tu sei tutta mia. Non sparire mai più “
Ora siamo io e lui, senza barriere ,cuore a cuore.
Una responsabilità infinita ,un amore grande.