Al suo posto.
La sua espressione arrabbiata.
Questo ricordo bene.
Non ero capace di reggere l’idea che mia madre fosse arrabbiata con me.
E anche se non capivo o se pensavo di avere ragione mi affannano a cercare di rimettere subito le cose a posto.
E non era difficile. Nel viso di mia madre riaffiorava veloce il sorriso e io tornavo ai suoi mille baci e ai miei giochi.
Forse per questo non riesco a tenere il punto mai coi miei ragazzi.
Per una strana alchimia che mi tiene a galla sentimenti bambini, come se fosse passato un giorno.
E non è facile essere una guida quando ti guidano emozioni che sarebbe meglio avere più offuscate.
Verso i miei diciott’anni qualcosa è cambiato e nei momenti di scontro mi rendevo conto che nonostante seguissi le regole sue, il coltello puntava con la lama verso di lei.
Riuscivo a ferirla e tenevo il punto.
Finché un giorno è crollata in lacrime davanti a me e il mondo mi si è sbriciolato addosso.
Le avevo fatto male.
Questi genitori che crediamo invincibili e irremovibili e duri e poi la ruota gira e ti ritrovi i loro costumi addosso e capisci le fragilità e le immense difficoltà di quel ruolo.
Ora il coltello punta teoricamente verso di me.
Possono farmi male in un niente.
E io lavoro, lavoro ogni giorno in ricette d’amore e di accoglienza.
Parlo, spiego, ascolto in un turbinio di parole che mirano ad educare “in pace” perché quel coltello non si alzi mai.
Capisco troppo spesso il loro essere contro, le loro richieste in eccesso.
Ci muoviamo insieme in un lavoro al cesello in cui spostiamo il punto di incontro a volte un po’ più verso di me a volte un po’ più verso loro.
Sempre parlando, tirando fuori a pezzi e bocconi, io un Socrate stanco immerso nella maieutica e loro i miei allievi, non sempre pronti a collaborare.
E in questa ricerca del punto giusto dico ieri a Matteo sorridendo ” Non siamo mica una famiglia normale noi. Secondo te ne esistono altre così?” E rido sconsolata.
“No – risponde lui- ma dovrebbero “
E io non vedo più lame che possano diventare minacce e mi è chiaro che nel parlare e nel saper ascoltare c’è già scritta ogni soluzione
Irene Renei