Lui
L’abbraccio di mio figlio è qualcosa che non so spiegare .
Forse perché con la sua età ci gioco da quando è nato.
Ho giocato agli abbracci dopo il nascondino, quando alto come una pallina si allungava tutto verso il cielo e io mi accucciavo per farmi stringere, perché ero io il cielo.
Ho giocato coi suoi abbracci bianchi del judoji quando a fine gara mi arrivava tutto sudato, dieci anni di riccioli neri e tanta insicurezza da rincuorare.
E il tempo è passato con l’acceleratore e ora è lui a giocare con me in quel metro e ottantacinque di altezza in cui ha schiuso i suoi vent’anni.
E questo di abbraccio io non ve lo so spiegare.
Mi piego dentro al suo petto e lui mi sovrasta.
Mi sento piccola e protetta mentre vorrei proteggere, in un amore che cresce col tempo e non trova mai la giusta misura, perché non c’è misura coi figli. Coi figli c’è l’infinito.
E stamattina dopo due giorni che non lo vedo, mi fermo in centro davanti al bancomat per fare un prelievo. Sento la sua voce alle spalle: “Mani ben in alto!” mi dice serio. Ma tu non puoi spaventarmi, perché la tua voce è musica per me e il cuore mi impazzisce e mi allungo io, piccola pallina verso il cielo perché tu sei il mio cielo.
E in quell’abbraccio io sorrido come un’adolescente innamorata.
E me ne frego se siamo per strada, se qualcuno vede, se sono esagerata.
Sparisco nel suo petto e mi sento felice, anche se dura un attimo e poi ci salutiamo.
Vado via camminando leggera e penso che essere madre sia il dono più grande che il mondo mi potesse fare.
Irene Renei