Suona
Cosa te ne fai di quel cellulare sempre in mano se quando io ti chiamo non rispondi?
Lo so, tu sei un figlio, che ne puoi sapere dell’ ansia di una madre, che ne puoi sapere delle paure, dei mille pensieri, dell’effetto che ha su di me il suono di una sirena dell’ambulanza che squarcia il silenzio della sera.
Tu sei un figlio, beato essere che togli da WhatsApp l’orario di accesso così la tua ragazza non ti può stressare.
Tu che togli il blu dalla spunta per motivi che vanno oltre la mia comprensione.
Che avrai mai da nascondere?
Ed io qui, a cercare tra questi tasti un legame, un segno che mi porti a te.
E mi rendo conto che questo aggeggio maledetto è una fonte di ansia incontrollabile, che siamo talmente abituati a raggiungervi sempre che bastano due squilli a vuoto, un’ora di vuoto multimediale che quell’ora si trasforma in un tempo infinito, in film drammatici nella mia testa.
Invece tu sei lì, seduto in macchina con la musica che batte sui vetri, la sigaretta in bocca, gli amici seduti dietro e la testa libera di vagare nel nulla, come è giusto che sia.
E mi domando come facessero le nostre madri a doversi accontentare di un:” Ciao ma, vado a ballare” e ad aspettare albe alla finestra con l’ orecchio teso a sentire il motore della macchina spegnersi e la portiera chiudersi.
La ricordo bene mia madre a quella finestra, nel caldo delle notti estive e nel gelo che entrava durante l’inverno.
A volte mi alzavo per farle compagnia.
Ci mettevamo lì, i gomiti appoggiati vicini, in silenzio, in un silenzio diverso.
Io senza capire bene, nei miei sedici anni senza pretesa né speranza di uscire la sera, che i suoi silenzi erano carichi d’angoscia.
Una sigaretta dietro l’altra a far passare i minuti in preghiere silenziose che riportassero mio fratello a casa.
Come ti capisco ora mammina, come capisco quel cuore strizzato quando i miei ragazzi tardano a rientrare senza avvertire, quando il telefono squilla a vuoto, quando non rispondono ai messaggi.
Forse, tutto sommato stavi meglio tu, forse stavamo meglio noi, senza il fiato sul collo di uno schermo sempre da guardare, di uno squillo da sentire.
Forse sarebbe l’ora di darsi delle regole, di mettersi dei limiti.
Ci vediamo a cena stasera.
E quel che sta in mezzo che sia silenzio stampa.
Sia di nuovo libertà, come avevamo noi.
Sia normalità, sia tagliare un legame eccessivo, una mania di controllo egoista.
Facciamo una cosa.
Chiama tu stasera, solo per dirmi che sei a casa.
Basta anche un messaggino.
Io provo a controllarmi.
Ad abituarmi piano.
E se proprio l’ansia salisse, non ti arrabbiare, ancora per stasera ti chiamo.
Irene Renei