PARTICOLARI
Mille borse sparse in terra.
Aiuto Fatima a organizzare il trasloco.
È il secondo in due mesi.
È il centesimo in tre anni.
Lei non trasloca solo vestiti, trasloca una vita, la sua seconda vita, quella che la vede indipendente, per mano ai suoi tre figli.
Quella che la vede al sicuro dopo una sentenza del tribunale che l’ha liberata, almeno su carta da un marito violento e pericoloso.
Lei trasloca tutto: lacrime, paura, paesi lontani, lingue nuove, un lavoro in regola, sorrisi nati piano piano tra una mano tesa e una faccia amica.
E nel bel mezzo di tutto questo ecco che la scuola chiama.
Uno dei bimbi sta male.
Corriamo a prenderlo, lo portiamo a casa, ha freddo.
Il termometro segna qualche linea di febbre.
I pensieri si bloccano.
Una casa da liberare, una da aprire, contratti da firmare, chiavi da restituire, un lavoro dal quale non può assentarsi, ma non possiamo far finta di niente.
Dobbiamo fare un tampone, il prima possibile, per muoverci in coscienza.
Una coscienza un po’ diversa da quella che mi spinge a sentire la fronte del bambino appoggiandoci sopra le labbra.
Una voce dalla testa che mi dice ” Cosa fai?!”
Una voce dal cuore che mi dice:” Ma che mi importa…”
E così pensiamo…pensiamo che l’Asl ci metterà giorni a mandare qualcuno e giorni per il risultato.
Pensiamo a un laboratorio privato, chiamamo.
Ottanta euro ,risultato in giornata.
Gli occhi lucidi di lei:” Sono tanti ottanta euro…come faccio”
“Chiamiamo- dico io- non ti preoccupare “
Lei capisce, mi dice di no, io chiamo più veloce dei suoi no.
Patteggiamo che verrà a pulirmi casa quando sarà più libera.
Aspettiamo il dottore e il tempo non passa mai.
Quando suona il cellulare scatto, rispondo, esco dal portone per indicare la strada.
Mi viene incontro una bella donna, giovane e bionda, con la mascherina e i guanti.
“Buongiorno dottoressa”
“Buongiorno Signora, scusi il ritardo”
Entra in casa in punta di piedi, ma i piedi si appoggiano bene per terra, senza più delicatezza ,al saluto incerto di Fatima, occhi verdi in un viso africano.
“Buongiorno dottoressa.”
“Ciao, dov’è il bambino”
Quel ciao mi arriva come un calcio nella pancia.
Perché io signora e lei ciao, perché a me del lei e a lei del tu, cosa spinge una persona a usare pesi diversi nella considerazione dell’altro?
Sto zitta, ho bisogno di quel tampone e ho bisogno di lei.
Non so se Fatima, nella sua infinita dolcezza abbia notato questo particolare, lei che sbaglia un po le parole , lei rispettosa di tutti e più dolce del miele.
Il bimbo apre la bocca, lei esegue.
Naso, lei esegue.
Io metto i soldi sul tavolo, lei la fattura.
Mi ringrazia dandomi del lei.
Mi spiega l’iter per avere il risultato.
Io le indico Fatima, è lei la mamma.
Lei continua la spiegazione tornando a darle del tu.
Salutiamo e se ne va.
Io non dico niente.
Penso e ripenso a quel gesto che proprio non mi va giù.
A questa classifica d’importanza.
” Non ti ha dato fastidio che ti abbia parlato così?”
Lei sorride e alza le spalle :”Sono marocchina io” e ride, rido con lei, per non piangere.
E penso a ottanta euro che possono fare la differenza, bloccare o sbloccare una vita.
A un lei o un tu dettati da chissà cosa.
A vite da conquistare attaccati a una roccia con le unghie fuori e vite spianate come un’autostrada in val Padana.
Nascere qui o nascere là, la differenza in un parto che nessuno di noi può decidere.
Guardo gli occhi di Fatima e vorrei,come in una favola che la zucca si trasformasse in carrozza, le valige sparse per casa in cavalli bianchi e lei,principessa del mondo che allunga la mano per farsi salutare con la dottoressa inchinata ai suoi piedi.
Altro che del tu.
“Buongiorno, sua Altezza Reale”
Irene Renei