Niente auguri
Ma davvero vogliamo festeggiare l’otto Marzo?
Davvero accetteremo un ramo di mimosa, un cioccolatino, belle frasi su fb, in un anno che ci ha visto morire per ben novanta volte per mano di un marito, di un compagno; in un anno che ha visto, in media ogni dieci giorni, i nostri figli uccisi per mano di padri impazziti, che vogliono punire la libertà di pensiero, che uccidono madri lasciandole in vita a piangere i propri bambini?
Davvero siamo pronte a ricevere auguri in una realtà in cui le vittime di stupro non si riescono più a contare, in cui dobbiamo sempre dimostrare la nostra innocenza, in cui continuano a dirci che insomma, forse un po’ ce lo siamo cercate, che non si esce da sole la notte, che la minigonna era troppo corta.
Siamo pronte a ricevere auguri da una stampa intrisa del maschilismo più abietto, che tra una riga e l’altra, tra una pugnalata alla gola e una alla pancia parla di ” uomini tutto casa e lavoro”
” che la amava troppo” di omicidio scatenato ” dalla separazione che lei voleva”.
E ancora vogliamo gli auguri di uomini che prima ci amano e poi ci sbattono nude sui gruppi WhatsApp, che ci fanno perdere il lavoro perché non siamo degne, siamo cagne, senza il diritto di fare l’amore se non come e quando vogliono loro.
E vogliamo gli auguri di qualche società, di qualche multinazionale che non si fa problemi a usarci come oggetti per vendere di più, perché un bel culo attira più di un bel cervello, perché magra è bello ma pienotta no, dove sul curriculum vogliono la foto perché la voce “bella presenza” vale più della voce “competenza”.
Io voglio solo silenzio in questo 8 Marzo senza significato.
Voglio sedermi con mia figlia, su uno scoglio in riva al mare e portarla giù, fino alle radici di questo giorno.
Voglio tornare all’inizio del ‘900, alle operaie morte nell’incendio della “Cotton”,
Al diritto di voto per cui hanno combattute quelle prima di noi, per dare voce e dignità al nostro pensiero;
Al conquista del diritto di abortire in un ospedale, senza morire come animali al macello.
A tutte quelle conquiste politiche e sociali che hanno visto schiere di donne prendersi per mano e parlare a nome di tutte, conquistare strade e diritti che ancora oggi vengono messi in discussione e calpestati.
Voglio spiegare a mia figlia che non è una festa, che non c’è niente da festeggiare, non c’è motivo per pranzare fuori tutte allegre con le amiche.
Lei, che ha toccato con mano la disperazione di donne segregate, stuprate, picchiate, lei che al mio fianco in casa famiglia ha visto, di fronte a una mia mano alzata per fare una carezza, donne tirarsi indietro terrorizzate a coprirsi il volto, lei sa.
Sa nei suoi sedici anni quanto ancora ci sia da fare, da stringere i denti, da fare battaglie, da farsi coraggio e spaccare muri di machismo, di sessismo, di ignoranza.
Lei sa che le ho fatto regalo del vestito più bello, la libertà di pensiero.
E le donne libere, quelle si, possono cambiare il mondo.