Io e il Mare
Oggi usciamo con la speranza di una pesca grossa.
Miglia e miglia lontano dalla costa.
Qualcosa che si avvicina molto alla mia idea di paradiso.
Il mare che ti dondola, il cielo che ti guarda, silenzio intorno, solo le onde che ogni tanto frusciano quando la cresta decide di trasformarsi in spuma bianca. Un suono leggero, una scala in do maggiore.
Lui spegne il motore, parliamo poco, pochissimo.
Ognuno sa bene cosa deve fare,ognuno sa che l’altro ha bisogno di uno spazio suo per rendere omaggio al mare.
Non gli ho mai chiesto cosa porta in lui quel silenzio. Ma so che ha a che fare con il sacro.
So che io lo saluto il mare,gli parlo,lo ringrazio,mi perdo nei suoi colori,gli do irrispettosamente del tu.
“Dai,fammi vedere cos’hai per me oggi,un pesce all’amo,uno spada che salta,una balena come l’altro giorno…cosa mi manca…uno squalo bianco…no tientelo quello.
Una sula viene a salutarci, gira in tondo,è bianchissima e si pavoneggia della sua rarità. E si,ma lei è del cielo. Tu non c’entri.
Dai mare, fammi vedere cos’hai.
Mi metto seduta a prua,il pareo sotto il sedere per non appiccicarmi alla pelle bianca della cuscineria, apro le gambe e metto in mezzo il secchio :acqua salata e sardine. Devo pasturare.
“Vuoi le forbici?”dice lui ridendo,mentre mette gli inneschi alle canne.
Lo sa che non le voglio e ride,anzi sorride.
Sa che mi piace infilare le mani dentro al secchio, prendere un pesce alla volta ,infilarci dentro l’unghia del pollice e premere forte finché sento tac, la lisca della schiena che si spezza, il sangue che esce la sardina spezzata.
Mi faccio il gel apposta,per avere le unghie più dure.
E poi queste mani così curate che fanno un gesto così primitivo,non so ,mi piacciono, mi riportano alla mia parte selvaggia, mi fanno stare bene.
Ho caldo e le onde iniziano stranamente a darmi fastidio,la nausea sale.
Sento imperlarsi la fronte di sudore,ho le mani piene di sangue, non mi posso toccare. Passo l’avambraccio su tutto il viso per asciugarmi le gocce che scendono ,sento l’odore forte della pastura imprigionarmi la pelle, i capelli, anche se sono legati in un ciuffo ripiegato su se stesso e intrisi di olio di cocco. Li tengo sempre cosi per pescare, non posso permettermi ciocche davanti agli occhi se un tonno è in canna.
Il sudore si asciuga e sento tirare la pelle, devo avere delle squame sulla fronte,mi sento sporca e maledettamente felice,non cambierei tutto questo nemmeno per mettermi dentro al miglior vestito da sera di Armani o per un rosso Valentino.
Credo che nessun uomo oserebbe toccarmi e io invece mi sento bellissima, qui, solo qui.
Ma la nausea aumenta e mi devo sdraiare .
“Pastura tu amore,io mi sdraio e dormo.
E aspetto di sentire la canna che impazzisce .”
Il mare mi culla ,non so per quanto…
“Eccolo!” Grida lui.
Mi alzo di scatto come un soldato, il suo soldato. La vista è annebbiata, mi gira la testa, ma vado dritta al mio compito,cintura e porta canna,recupero del filo in più, mi chino ,cerco di precedere le sue richieste.
“Passami il costume!”un ordine secco.
Non capisco più niente…
Alzo la testa da dentro il gavone, lo guardo cercando di mettere a fuoco.
“Ma cosa vuol dire passami il costume?che cacchio di costume ?”
Lo guardo ancora,la canna in mano, il pesce impazzito sul fondale,lui che fatica e mi aspetta ,mi guarda perplesso e dice.”Ma mi vedi ?…Sono nudo!”
Io non ve lo dico se lo abbiamo preso quel tonno.
Comunque fosse andata saremo stati felici lo stesso,perché abbiamo fatto l’amore col mare ,col cielo,col vento con l’anima di chi sa che essere riconoscente a Dio per tutto questo non è e non sarà mai e mai abbastanza.