La quarantena e mia madre
Ciao Ma,
Non ti vedo da undici giorni. Ti ho messo lì con papà, nella vostra prigione dorata e ogni volta che ci sentiamo vi ripeto di non uscire. Non uscite perché se non vedete nessuno, se non toccate niente, niente potrà toccare voi e fra qualche mese ci rideremo sopra, tirando un sospiro di sollievo.
Riusciamo a chiacchierare anche così e a ridere persino. Mezz’ora in video chiamata riuscendo a vedere un tuo occhio o i capelli, il quadro sopra il divano però è il più gettonato. A fine quarantena lo riprodurro’ a memoria. Non riesci a inquadrati neanche per sbaglio.
Sai ma, mi manca il profumo della tua pelle quando ci vediamo e ti bacio, mi manca accarezzare la guancia di papi, che ci tiene a farmi sentire sempre, da quando sono piccolina, come sia liscio con la barba appena fatta.
Ah, stai tranquilla, se mi potessi vedere saresti fiera di me. Tutte le mattine mi vesto e mi trucco come per uscire, come fai tu ora, come hai sempre fatto. “Non si sa mai cosa può succedere”. E ripenso alla tua faccia quella vigilia di Natale in cui il campanello aveva suonato e ti eri ritrovata in tuta da casa e con la fritture al fuoco davanti alla signora fasciata nel visone e nei gioielli che voleva farti gli auguri. E no… Non ti è andata mai giù che ti possa aver visto così.
Quindi tranquilla, io non mi faccio trovare impreparata. Anche se voglio proprio vedere chi suona alla porta in questi giorni di silenzio.
Ringrazio ogni momento quel linguaggio medico che ci hai fatto masticare sin da bambini perché ora mi aiuta a capire, a non fraintendere, a non dover chiedere spiegazioni ad altri.
Ringrazio l’amore che mi hai trasmesso per la lettura, grande compagna di questi silenzi. Ripenso al primo libro che mi hai messo fra le mani, non sapevo che in quel momento tu mi stessi regalando una delle più grandi opportunità della mia vita.
Sai ma, sono grande lo so, ma non ho nessuna voglia di crescere di più. Voglio continuare a fare la figlia, a sbuffare quando mi dici che hai mangiato la cioccolata anche se hai il diabete, che hai bisticciato con papà perché è uscito senza giacca. Voglio continuare ad aspettare il mio compleanno in cui arriverà il vostro biglietto insieme al bouquet di papà.
Vi affido alle coccole di Lapo, alla sua coda sempre felice, al suo muso sulle vostre ginocchia, in attesa di appoggiarmici io, come un mese fa, quando avevate entrambi la febbre alta e mi sono sdraiata in mezzo a voi, sotto le coperte, come quando ero piccina. Il posto più sicuro del mondo.
Ieri è morto tuo cugino, tosse e febbre, nessun medico è andato a vederlo.
Ti ho sentito piangere al telefono, un pezzo della tua infanzia se ne è andato. Non ho potuto asciugati le lacrime. È impossibile consolare a distanza. Ci vogliono abbracci stretti, baci e silenzi d’amore.
Ti chiedo un cosa sola, come da bambina, come quando capricciosa e viziata battevo i piedi finché tu o papà non mi accontentavate e lo facevate sempre. Non mi fate crescere ora. Non ancora. Fatemi rimanere figlia.
State in casa.